Nel 1976 l’Italia del tennis arrivò alla finale di Coppa Davis, il più importante torneo mondiale riservato alle squadre nazionali. La squadra avversaria era il Cile e le partite della finale si sarebbero dovute svolgere nella capitale dello stato sud americano a non molta distanza da quello stadio che tre anni prima era stato trasformato in prigione a cielo aperto e centro di tortura per gli oppositori della giunta golpista di Pinochet. In Italia molte voci critiche si levarono contro quella trasferta, perché, si disse, sarebbe diventata una cassa di risonanza per la propaganda della dittatura. Tre anni prima, pochi mesi dopo il golpe, la federcalcio dell’Unione Sovietica aveva rifiutato di far giocare la propria nazionale nello stadio di Santiago, rinunciando di fatto alla qualificazione per i mondiali di Germania nel 1974. Tre anni dopo la stessa situazione si ripresentò in Coppa Davis dove Cile e Unione Sovietica si sarebbero dovute incontrare nella semifinale del torneo. Anche in questo caso la squadra sovietica si ritirò dalla competizione consentendo al Cile di accedere alla finale dove avrebbe incontrato l’Italia che a sorpresa aveva battuto la fortissima Australia.
In Italia molti erano favorevoli al boicottaggio. Il governo come sempre non prendeva una posizione netta, mentre all’interno del PCI, principale partito d’opposizione, c’erano molte voci critiche. Contestualmente l’estrema sinistra era letteralmente scatenata contro la trasferta in Cile. Gli stessi atleti, in particolare il giocatore di punta, Adriano Panatta, pur volendo giocare la finale, non erano insensibili alle problematiche politiche che stavano dietro questa vicenda ed erano molto provati dall’acceso dibattito che in quei giorni coinvolgeva tutti gli italiani. Uno psicodramma tipicamente italiano che rischiava di risolversi in un catastrofico danno di immagine per il nostro Paese, perennemente imbrigliato in quei tiramolla che alla fine scontentano tutti.
La situazione venne sbloccata in maniera inaspettata da Enrico Berlinguer, segretario politico del PCI, che a dispetto delle numerose voci critiche all’interno del partito, tramite Ignazio Pirastu, responsabile della Commissione Sport del PCI, fece arrivare a Panatta l’invito a partire e a vincere la Coppa Davis. Secondo Berlinguer non sarebbe stato giusto lasciare il trofeo nelle mani della giunta militare cilena che lo avrebbe usato come potente arma propagandistica. A questo punto il governo Andreotti decise di non decidere delegando al CONI la responsabilità di risolvere questa ingarbugliata situazione. La strada per Santiago era ornai in discesa e la squadra partì per il Cile. Solo molti anni dopo si apprese che prima di dare il suo benestare, Berlinguer si era consultato con la dirigenza in clandestinità del Partito Comunista Cileno e fu lo stesso segretario dell’epoca, Luis Corvalan, a chiedergli di perorare la partecipazione dell’Italia perché il boicottaggio, a livello interno, avrebbe giocato a favore della popolarità di Pinochet.
Sul piano sportivo quasi non ci fu gara: i tennisti italiani si portarono subito sul 2-0 e una vittoria nel doppio avrebbe consentito all’Italia di arrivare al 3-0 e vincere il trofeo. Il 18 dicembre 1976 Adriano Panatta e Paolo Bertolucci affrontarono Patricio Cornejo e Jaime Fillol in una lunghissima e combattuta partita vinta al quarto set dagli atleti italiani. Poco prima dell’inizio dell’incontro Adriano Panatta ebbe l’idea di sostituire la tradizionale polo bianca indossata dai tennisti dell’epoca con una maglietta rossa simboleggiante il sangue versato dalla dittatura militare. Bertolucci, sia pur meno convinto del suo compagno, concordò con questa idea e l’incontro passò alla storia come quello delle “magliette rosse” ed ebbe un grande impatto mediatico anche al di fuori del mondo dello sport ricordando a tutti il carattere sanguinario di quella dittatura. Un piccolo gesto di grande impatto che non servì certo a rovesciare Pinochet ma che contribuì, insieme a tanti altri piccoli gesti, a tenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sul dramma umano e politico che si stava consumando in quegli anni in Cile. Con buona pace di quelli che si dicono stanchi del “politicamente corretto”, certi gesti in certe occasioni sono importanti e fanno la differenza tra senso di responsabilità e ignavia. Negli anni 70 questo sembrava una cosa normale e scontata, a quasi mezzo secolo di distanza, triste constatarlo, non è più cosi.